07Ho conosciuto Iacopo alcuni mesi fa, in una serata quasi estiva a Firenze. Sentirlo parlare del suo lavoro di professore di storia dell’arte in un centro per la formazione degli adulti, mi ha incuriosito.
Io Iacopo lo avrei visto bene nella Parigi bohemienne di fine ‘800, magari in una soffitta di Montmartre tra tele e pennelli, oppure nella swinging London anni ‘60, in pieno clima pop art e con una colonna sonora molto rock in sottofondo. E invece lui comincia a parlare di Medioevo, di iconografia e devozione in Toscana tra Trecento e Cinquecento e di una scuola dove gli allievi sono over 60. Volevo saperne di più.
Ci siamo incontrati poche settimane fa, a casa mia. Iacopo è arrivato con il suo segugio nero focato, Alberto, che in religioso e attento silenzio ha seguito la nostra chiaccherata. E così è nata la prima intervista “Made in Culture” del blog.
Ci racconti di te, del tuo percorso di studi?
Mi sono laureato a Siena, nel 1996, in Storia dell’arte con una tesi sul revival del Medioevo a Firenze e in Toscana tra Otto e Novecento. In particolare, ho approfondito la storia sociale delle arti e la relazione tra iconografia sacra e antropologia religiosa. Mentre studiavo ho sempre continuato a dipingere, mia grande passione e, una volta laureato, mi sono dedicato per molti anni a questa attività, partecipando anche a svariate mostre, tra le quali una personale al Museo della Specola di Firenze nel 2003.
Quando e come è nata l’esperienza dell’insegnamento agli adulti?
Nel 2002 ho iniziato a presentare progetti formativi alle libere università del territorio fiorentino e ho ricevuto i primi incarichi. Ho iniziato a insegnare Storia dell’arte nelle Università dell’età libera del Comune di Sesto Fiorentino e di Firenze, un’esperienza che è durata sino al 2010. Nel 2007 sono diventato uno dei docenti del Centro territoriale permanente del plesso di Lastra a Signa e Scandicci, un centro per l’istruzione e la formazione destinato agli adulti promosso dal Ministero della Pubblica istruzione, con cui ancora oggi collaboro.
Nel 2009, dopo un periodo di difficoltà dovuto al taglio dei finanziamenti e al cambiamento delle politiche scolastiche, insieme ad alcuni colleghi decidiamo di presentare alla Fondazione della Misericordia di Lastra a Signa un nuovo progetto e diamo vita alla Scuola della Misericordia. Si tratta di un’iniziativa che intende offrire agli adulti del territorio comunale un’occasione di formazione culturale e di aggregazione sociale. La Fondazione ha messo a disposizione della Scuola la sede per l’attività didattica e fornisce un sostegno per il coordinamento della segreteria. Il Comune di Lastra a Signa assicura alla scuola un finanziamento di 500 euro a copertura delle spese tipografiche per manifesti e volantini.
Come è organizzata la Scuola della Misericordia?
La Scuola è organizzata in corsi interdisciplinari che sviluppano ogni anno un tema specifico. L’obiettivo è di fornire strumenti di ‘lettura’ della società contemporanea a quanti, in età non più scolastica, manifestano il desiderio di orientarsi in un mondo sempre più frammentato e complesso. Abbiamo scelto un metodo didattico che rende lo ‘studente’ protagonista del proprio apprendimento, stimolandone la partecipazione e il coinvolgimento attraverso un confronto continuo. Per noi è fondamentale l’esperienza di condivisione che nasce in classe, perché riteniamo sia il modo migliore per acquisire o accrescere una personale capacità riflessiva.
Il numero di iscritti che abbiamo aggiunto in questi anni è notevole: per ogni edizione creiamo circa 5 classi per un totale che si aggira intorno ai 120 iscritti; le lezioni iniziano in autunno e proseguono sino al mese di maggio. Ogni iscritto paga 110 euro e ha la possibilità di partecipare a varie proposte formative: dalla filosofia alla letteratura, alla musica, con lezioni di un’ora e mezza ciascuna per circa 25 appuntamenti. Quest’anno gli iscritti sono 130. I docenti impegnati nella Scuola sono sei, io mi occupo dei corsi di storia dell’arte.
Che tipo di programma proponi?
L’idea che mi ha sempre guidato nella preparazione dei miei corsi è quella di offrire una lettura su più piani della storia dell’arte. Ho sempre affiancato alla parte più classica del programma alcune iniziative interdisciplinari, come la proiezione di film la cui tematica è inerente al programma di lavoro.
Nei prossimi mesi, per esempio, vedremo la biografia di Frida Kahlo e il film di Lech Majewski The Mill and the Cross, ispirato al magnifico dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio La salita al Calvario. Quest’anno ho deciso di dare rilievo alla pittura fiamminga, poco conosciuta tra i corsisti e in generale tra il pubblico dei non specialisti.
Fare divulgazione è un compito molto importante e a me piace farlo in maniera che amo definire “meticcia”, seguendo una metodologia che applico anche nella mia attività di ricerca e che mi ha portato a pubblicare negli anni numerosi libri, come Ecce Mater. La Madonna del latte e le sante galattofore. Arte, iconografia e devozione in Toscana fra Trecento e Cinquecento (Firenze, Nicomp, 2009).
Si tratta di una metodologia che tiene conto delle contaminazioni con l’antropologia e l’iconografia, e in cui lascio sempre molto spazio all’aspetto storico, che è fondamentale. In questo ambito considero delle bussole studiosi come Franco Cardini, Michael Pastoureau e Chiara Frugoni.
Che esperienza è insegnare agli adulti?
Forse in molti non conoscono l’esistenza del progetto di Lifelong Learning, il cosiddetto “apprendimento permanente”, promosso dalla Comunità europea già da qualche anno per limitare le crescenti lacune d’istruzione nelle persone in età adulta. Nel 2007 anche in Italia era stato predisposto un disegno di legge con il quale s’intendeva incoraggiare e favorire la diffusione d’iniziative di apprendimento continuo, che sono poi parte integrante dell’articolo 9 della nostra Costituzione.
Purtroppo le cose non sono andate come si sperava, perchè in Italia, ovviamente, se c’è da tagliare si taglia sempre la cultura che, si sa, “serve a poco, non ci si mangia, è roba inutile che non produce ricchezza…” – tanto per rammentare un pensiero diffuso e incarnato di recente da un ministro della nostra Repubblica.
Un grande sostenitore del progetto Lifelong Learning che mi piace ricordare è Tullio De Mauro, a cui si deve l’istituzione del Centro territoriale permanente e che considero il migliore ministro alla Pubblica istruzione che abbiamo mai avuto.
Chi sono le persone che frequentano i corsi e che tipo di interazione nasce tra voi?
Si tratta di persone con un livello d’istruzione medio basso, ma con una grande propensione all’ascolto e una forte motivazione. L’esperienza mi ha insegnato che per entrare in sintonia devi sviluppare una grande capacità seduttiva. E’ importante trovarsi in una sorta di ‘terra di mezzo’ dove superare il rischio di una comunicazione univoca e passiva. C’è bisogno di sviluppare empatia tra le due parti: ecco perché parlo di seduzione, solo dopo aver fatto scattare la scintilla puoi portare il tuo pubblico dove ti pare. E’ come se gli dessi finalmente la possibilità di avere una finestra da cui guardare il mondo.
I ‘miei’ studenti vogliono capire come funzionano le cose e dalle domande che mi rivolgono capisco che quello che cercano è di commisurarsi alla realtà moderna. Nella maggioranza dei casi si tratta di donne che inevitabilmente sviluppano nei miei confronti un atteggiamento materno (che non mi dispiace!). Gli uomini, invece, che sono veramente pochi, si dividono in due categorie: di larghe vedute, oppure estremamente maschilisti.
Un episodio particolare da ricordare?
Ricordo con piacere quando abbiamo organizzato una visita alla Fondazione Burri a Città di Castello. Avevo iniziato a parlare dell’artista durante i nostri incontri in aula e poi ero passato a illustrarne alcune opere. In quell’occasione la reazione era stata di stupore e molta perplessità. Ma durante la visita, quando hanno cominciato a riconoscere le opere e apprezzarle, lo stato d’animo che ha prevalso è stato l’entusiasmo. In molti mi hanno detto: “Quanta libertà in questi lavori….. si vede che era un genio!”. E cos’è l’arte contemporanea se non libertà?
Cosa pensi del lavoro culturale?
In Inghilterra lavorare con la cultura è un lavoro come un altro, svolgi il tuo compito e vieni pagato per quello che fai. Quello che ti chiedono è cosa sai fare, e non quanti anni hai o chi sei, come siamo abituati a vedere in Italia. In generale, nel resto d’Europa c’è una visione pragmatica della cultura: è un settore in cui s’investe perché la cultura è un valore aggiunto e crea ricchezza.
In Italia, invece, c’è il vizio di regalare la cultura.
Un’idea nata da un atteggiamento tipico della nostra Sinistra, quello definito “radical chic”: la cultura deve essere regalata perché è bello (e anche un dovere) che sia così. Quasi si trattasse di un biglietto da visita da sfoggiare nei momenti appropriati. Non viene assolutamente riconosciuto come lavoro e neanche viene percepita la fatica che c’è dietro. Abbiamo creato una ‘cultura dresscode’.
Oltre all’insegnamento, quali altri progetti porti avanti?
In questo momento sto lavorando su un progetto, La via regia imperiale, che prevede la pubblicazione di un libro e l’organizzazione di un convegno per ricostruire il tracciato della più importante strada che attraversava l’Europa nel Medioevo. L’idea è di ricostruire il percorso tra Verona, Mantova, Modena e Pistoia ricalcando il percorso dell’antica Via claudia augusta, la via degli imperatori e dei pellegrini, e di proporre un viaggio inedito attraverso questo territorio.
Un’iniziativa che vorremmo sviluppasse nuove opportunità di turismo culturale, in particolare per Pistoia, città che ha sempre avuto una propria e specifica viabilità non adeguatamente indagata. La nostra scommessa è quella di remunerare Pistoia della sua corretta e oggettiva collocazione nella viabilità medievale, quella che realmente le competeva.
E come la mettiamo con i finanziamenti del progetto?
Con l’altro curatore del progetto, Gabriele Farinelli, ingegnere dell’Istituto Geografico Militare in pensione,stiamo lavorando anche in questo senso, cercando sponsorizzazioni di privati interessati a investire in cultura. Io sono abituato a trovare i fondi per i miei progetti, potendo contare anche sull’aiuto dell’associazione culturale di cui faccio parte, Armonia, che ha sede nel Comune di Piteglio sulla montagna pistoiese.
Sono convinto che gli imprenditori debbano diventare interlocutori importanti per ogni operatore culturale. Spesso avere a che fare con le istituzioni pubbliche è come entrare nel porto delle nebbie, meglio allora trovare nuovi referenti con cui entrare in sintonia.
I tuoi progetti futuri?
Voglio proseguire la mia collaborazione con il Centro territoriale permanente e la Scuola della Misericordia, anche se le difficoltà economiche non sono poche. Ma la Fondazione è ben intenzionata a portare avanti il progetto e i segnali positivi non mancano: quest’anno, per esempio, la Fondazione ha finanziato il volume Confraternite, misticismo e pellegrinaggio in Toscana tra Medioevo ed Età Moderna (Masso delle Fate Edizioni), una pubblicazione che racconta i primi due anni di attività della Scuola attraverso i contributi dei vari docenti. Io ho pubblicato due interventi dedicati alla Beata Giovanna da Signa e all’iconografia medievale dei pellegrini e del pellegrinaggio. Stiamo già lavorando al secondo volume.
Ho poi una stretta rete di contatti professionali a Pistoia che sono divenuti vere e proprie amicizie: Nilo Benedetti di Settegiorni Editore, del cui comitato di redazione faccio parte; Francesca Rafanelli, presidente di Armonia, con la quale collaboro da anni nel campo della ricerca storica e artistica. Insieme abbiamo pubblicato diversi lavori e tenuto molte conferenze in quel gioiello di biblioteca storica che è la Forteguerriana. Nel 2013, come coautori, pubblicheremo un libro dedicato alla cucina storica pistoiese, Prelibatezze della città di San Jacopo (Settegiorni Editore).
Ci sono poi le amiche delle associazioni culturali: Annamaria Iacuzzi e Cristina Taddei di Artemisia, Perla Cappellini e Laura Dominici di Mirabilia Arte e Memoria, Cristina Tuci che è stata direttrice della rivista Tremisse Pistoiese e con la quale nel 2008 abbiamo dato vita alla conferenza/performance Donne, sante o streghe?, nell’ambito di un ciclo dedicato al mito della Grande Madre al Museo Marino Marini di Pistoia; Simonetta Ferri, premurosissima e bravissima bibliotecaria della Forteguerriana; le signore della FIDAPA pistoiese di cui rammento per salutarle tutte, l’instancabile presidente Mara Cocchi.
Sei fiorentino, ma lavoro soprattutto a Pistoia, come mai?
Si, è vero, sono nato a Firenze e ho qui la mia casa, ma ormai dopo dieci anni di frequentazione e di condivisione dei progetti sono diventato pistoiese. La Biblioteca Forteguerriana, l’Istituto di Storia Patria, gli Archivi Diocesano, Vescovile e del Capitolo del Duomo, sono luoghi di cultura vivi, che sostengono il tuo lavoro e dove il rapporto professionale si arricchisce di una accoglienza attenta e anche affettuosa, davvero non scontata.
A Firenze mi limito a fare la spesa, dormire, portare a spasso il mio segugio nero focato, a prendere il caffè al bar in via Mariti, a mangiare le paste alla pasticceria Luana in piazza del Terzolle. Firenze è una città che non sento mia e sulla cultura fiorentina non mi esprimo proprio.
Hai seguito la discussione nata dalla pubblicazione del Manifesto “Niente cultura, niente sviluppo” sul Sole 24 Ore? Cosa ne pensi?
Il fatto che il Manifesto della cultura sia stato pubblicato, in Italia, da una testata economica come Il Sole 24 Ore non è un caso. I nostri politici hanno dimostrato di non essere in grado di affrontare questo problema e credo sia meglio, a questo punto, che se ne occupino gli imprenditori, che sanno fare decisamente meglio business. Perché la cultura, è bene sottolinearlo per chi ancora non lo avesse capito, può essere un business con i fiocchi.
Personalmente, l’Italia la venderei tutta a tedeschi, americani e giapponesi, perché siamo indegni di un paese con la nostra storia e il nostro patrimonio. E anche se come popolo, talvolta, dimostriamo di essere molto meglio della classe politica che ci rappresenta, la verità, a mio avviso, è una sola: un paese che non sa da dove viene non saprà neanche dove vuole andare. O no?
A questo punto il tempo a nostra disposizione è scaduto: io raccolgo i miei appunti, Iacopo e Alberto si preparano ad andare via e ci salutiamo. Stavo per chiudere la porta quando intercetto un ultimo sguardo di Alberto, sembra quasi mi lanci un occhiolino di soddisfazione.Che il “Made in Culture” sia contagioso anche tra gli amici a quattro zampe?