Per anni ho vissuto accanto a un lettore di fumetti seriale, mio fratello, una vicinanza che ha reso molto familiari ai miei occhi personaggi (più o meno) eroici, (più o meno) fantastici, tutti alle prese con storie a dir poco originali.
Con queste premesse era logico che il mio incontro con Marco Bianchini e Sara Sasi, rispettivamente direttore artistico e vicedirettore della sede fiorentina della Scuola Internazionale di Comics, diventasse una sorta di viaggio a ritroso nel tempo con tante nostalgie, tanti ricordi e qualche sogno nel cassetto.
Non avevo immaginato, però, che dopo la chiaccherata con Marco e Sara sarei stata sopraffatta dal desiderio di prendere le armi del mestiere (nel mio caso tastiera e mouse) per difendere il diritto al fumetto (ma anche all’illustrazione, alla colorazione digitale, all’animazione, al cucito per Cosplay ecc…) per i lettori italiani di ogni età.
Esagerata? Non credo proprio. Anzi, per questa ‘battaglia’ ho già in mente degli alleati importanti, gente che di scuola e di successo se ne intende. Vedrete!
La Scuola Internazionale di Comics nasce nel 1979 a Roma dall’intuizione di Dino Caterini, oggi ha 9 sedi in Italia (Roma, Firenze, Jesi, Torino, Pescara, Padova, Reggio Emilia, Brescia, Napoli) e una a Chicago. Sara, iniziamo da te, che cosa ti lega a questo mondo?
È il mio mondo, adoro stare con i ragazzi e seguire da vicino l’affermarsi dei loro progetti in un settore di nicchia come quello delle arti visive. Oggi, riuscire a ottenere un riconoscimento artistico ed economico in questo ambito è una cosa piuttosto ardua.
Confesso di provare molta ammirazione per le persone che impegnano tutte le loro forze ed energie per realizzare il sogno di una professione artistica. Forse perché non ho avuto abbastanza coraggio per farlo io…Ogni volta che vedo delle potenzialità in un ragazzo cerco di affiancarlo e di immedesimarmi in lui, nelle sue esigenze. Diciamo che vivo di luce riflessa.
Una luce riflessa che deve funzionare anche da faro…
Certo, la funzione di supporto è fondamentale nella nostra attività formativa. Per usare un termine di moda, potrei dire che è la nostra mission.
Ci sono delle caratteristiche che ritornano nei ragazzi che poi arrivano al successo?
Una forza incredibile, che va oltre quello che loro stessi pensano. Per questi ragazzi l’arte diventa una necessità, un bisogno; non hanno altri modi per esprimersi ed esistere se non attraverso una forma artistica, che sia il fumetto, l’illustrazione o la grafica. Come se solo attraverso di essa assumessero un’identità. Si tratta di un percorso che ha molto a che fare con l’esistenza intima di ciascuno di loro.
E’ facile aiutarli?
Non sempre. Le generazioni cambiano velocemente e si fa sempre più fatica a decodificarle. Nei ragazzi oggi vedo tanta confusione e paura di affrontare il fallimento e di soffrire; mentre la sofferenza è un percorso necessario, inevitabile per crescere. Credo che questo sia un ostacolo culturale grandissimo per tanti.
Bisogna imparare ad andare oltre i primi, inevitabili insuccessi e non farsi intimorire. Se inizi ad avere paura di sbagliare, è la volta buona che sbagli.
Da cosa nasce questo timore?
Credo dipenda dal fatto che fin da piccoli ci viene insegnano che a scuola bisogna andare bene, essere bravi, altrimenti siamo fuori dai giochi. Un grave errore! La scuola, a mio avviso, deve aiutare ciascuno a trovare la propria strada, anche (e soprattutto) attraverso degli errori. Oggi più che mai la formazione ha molto a che fare con la crescita personale: non ci si può limitare a offrire solo competenze tecniche, c’è bisogno anche di qualcosa che faccia riflettere i ragazzi sul perché delle loro scelte.
Un impegno didattico non indifferente..
Si, non c’è dubbio. I ragazzi vivono la critica come un giudizio personale e non hai idea della difficoltà che questo comporta nella fase di assegnazione dei voti. Ognuno di loro pensa di avere il voto tatuato addosso, quasi fosse una verità scolpita sulla pietra; in realtà è solo una fotografia istantanea e il giudizio è spesso l’espressione di un’analisi soggettiva. Forse quando si viveva per la strada le generazioni crescevano più forti…
Ci parli della Scuola e dei vostri corsi? Come li promuovete?Il migliore strumento di promozione della Scuola è il passaparola dei nostri studenti. Nella sede di Firenze, operativa dal 1992, ogni anno abbiamo circa 400 studenti provenienti da tutta Italia.
I corsi che proponiamo sono di diverse tipologie: quelli triennali, tra i più frequentati ci sono quelli di illustrazione, animazione, fumetto, grafica pubblicitaria; quelli annuali, come 3D Maya e Video Game; e i corsi brevi pensati per chi intende fare un’esperienza professionale ma non ha molto tempo a disposizione, tra gli altri: scrittura creativa, disegno base, colorazione digitale, scultura per modellismo.
Abbiamo anche un corso di cucito per Cosplay, il primo in Italia, e un master in illustrazione della durata di sei mesi.
La Scuola Internazionale di Comics si definisce “Accademia di arti figurative e digitali”: come si può tenere insieme il mondo dei fumetti e quello dell’accademia?
Il nostro obiettivo è creare un ponte tra la tradizione che viene dall’esperienza accademica e le opportunità di una professione che guarda al futuro. Siamo convinti che non si possa che partire dal passato, studiarne le tecniche e le metodologie per poi andare oltre. Non condividiamo assolutamente la contrapposizione così di moda oggi tra digitale e tradizionale; in realtà un pittore digitale oggi non s’inventa nulla di rivoluzionario rispetto allo studente di una scuola del Trecento. C’è una struttura di fondo che è comune a tutti.
C’è qualche storia che ha per protagonisti gli allievi della Scuola che ti fa piacere ricordare?
Le storie sono veramente tante. Se devo scegliere, mi fa più piacere ricordare quelle legate ai gruppi nati nel mondo del fumetto negli ultimi anni. Alcuni hanno fatto poca strada, altri sono andati più lontano, ma tutti rappresentano esperienze particolarmente significative. Come, per esempio, quella di Mammaiuto, un collettivo di autori costituito in gran parte da ex allievi del nostro corso di fumetto, e di cui fa parte anche Francesco Frongia, disegnatore e docente della Scuola.
Mammaiuto è un’associazione che ha come obiettivo quello di raggiungere i lettori direttamente, senza intermediari, attraverso iniziative originali che diano visibilità al mondo del fumetto. Al di là del percorso individuale fatto a Scuola, infatti, i membri di Mammaiuto sono diventati un team di professionisti nella creazione di eventi e di interessanti sperimentazioni tra musica e arte. Ne è un bell’esempio “La notte che arrivò l’inverno”, libro illustrato da Francesco Frongia e a cui è allegato un CD con le musiche originali realizzate dal quartetto jazz Musica ex Machina.Il fumetto sembra avere una spiccata tendenza alle collaborazioni culturali
Come linguaggio, il fumetto contiene più forme di comunicazione: l’illustrazione, la pittura, persino il cinema. E’ uno strumento in grado di accogliere tanti contenuti diversi. Purtroppo in Italia spesso si associa il fumetto al mondo dell’infanzia, mentre in realtà ci sono delle cose meravigliose, come le graphic novel di Gipi, Jacovitti o di Hugo Pratt, vere e proprie opere d’arte in forma di fumetto.
A proposito del fumetto come forma d’arte poco riconosciuta, cosa ne pensa Marco Bianchini, direttore artistico della Scuola?Ci sono opere teatrali che hanno molti meno spettatori di tanti fumetti, eppure di quelle se ne parla tanto. Credo sia un problema di miopia del nostro sistema culturale.
Cosa ha rappresentato per te il fumetto?
Non mi è facile dirlo. Quando ho iniziato, nel 1979, era un fenomeno in grande ascesa e l’idea di poter disegnare storie fantastiche e dare forma alle mie elucubrazioni senza alcun limite, mi attraeva tantissimo. Mi sembrava un mezzo di comunicazione estremamente efficace. Poi è subentrato un amore irresistibile e non ho deciso di investirci tutta una vita.
Cosa è cambiato nel mondo dei fumetti in questi anni?
Negli anni 70 i fumetti non avevano ancora il fascino dei prodotti di oggi. In Italia, all’inizio, erano considerati alla stregua dei fotoromanzi e solo un’operazione culturale come quella promossa da Hugo Pratt con Corto Maltese ha permesso che il fumetto, da fenomeno da edicola, si trasformasse in letteratura disegnata e raggiungesse successi insperati. Una rivista come “L‘Intrepido”, a cavallo degli anni 70/80, vendeva sino a 300 mila copie settimanali. Numeri oggi impensabili.
Cosa è successo esattamente?
Dopo aver raggiunto livelli di espressione altissimi, il fumetto ha trovato nel mondo dei giochi, dei videogiochi e della televisione degli ostacoli insormontabili. Purtroppo, è innegabile che il confronto con l’immagine dinamica sia quasi sempre perdente.Anche se il fumetto è un prodotto molto più economico di un videogioco, è difficile che gli venga preferito nell’acquisto, soprattutto se non contiene storie interessanti.
Il grande problema del mondo dei fumetti oggi, infatti, sta proprio nella mancanza di scrittori di talento, autori in grado di cogliere quello che al pubblico interessa veramente. In Italia i disegnatori di talento sono tantissimi, mancano invece gli sceneggiatori, gli storyteller…
Qualche esempio positivo da prendere a modello?
Negli USA chi scrive per il cinema è riuscito a nobilitare un settore ritenuto di secondo piano come quello delle serie televisive, riuscendo a renderlo persino più interessante del prodotto cinematografico. E gli attori, che prima per nessuna ragione al mondo si sarebbero fatti coinvolgere in un’iniziativa del genere, oggi fanno a gara per entrare nei cast dell’ultima serie di successo.
La differenza la fanno gli autori, non c’è alcun dubbio. Se fossimo in grado di mettere in moto un’operazione del genere nel mondo del fumetto, sono certo che otterremmo dei risultati incredibili.
Per mettere in moto tutto questo, da dove bisognerebbe partire?
Credo si debba puntare a una rigenerazione totale del settore e partire dai lettori adolescenti. Abbiamo bisogno di rimetterci in sintonia con questa fascia di lettori, che oggi trova qualcosa di interessante solo nei fumetti manga giapponesi, gli unici nati da un serio lavoro di ricerca.In Giappone ci sono fumetti per ogni target di età: da quando si comincia a leggere sino a 80 anni; le tirature raggiungono cifre mostruose e i temi sono assolutamente vari e abbracciano ogni aspetto del quotidiano. Ci sono fumetti sul vino, sul mondo degli adolescenti, sulla storia, sull’omosessualità.
Attorno al fumetto in Giappone hanno creato una vera e propria industria. In Europa, invece, dopo i 40 anni si comincia a smettere di leggere fumetti, e il pubblico si restringe a collezionisti e appassionati.
Con il mondo della scuola potrebbero aprirsi delle collaborazioni interessanti?
Penso assolutamente di sì, ma c’è un ostacolo: la supponenza da parte di chi scrive per il fumetto. L’idea di lavorare per una fascia di età troppo giovane (eccessivamente ‘basic’?) non è particolarmente attraente. Ma penso sia arrivato il momento che qualcuno si sacrifichi per la causa e venga sostenuto dagli editori, che sono l’altro anello debole della catena.
In che senso?
Gli editori non vogliono più rischiare, la paura di non farcela sul piano economico li paralizza. Oggi l’80% degli editori italiani stampa il necessario per ripagare le spese, agendo in una logica assolutamente non imprenditoriale. Un atteggiamento che riflette la mancanza di lungimiranza di un settore che, in passato, proprio sulla capacità di rischiare ha costruito grandi fortune.A Scuola, a questo proposito, spesso polemicamente diciamo che dovremmo organizzare dei corsi professionali per editori!
Quali potrebbero essere gli alleati per un rilancio del settore?
Credo che il cinema possa essere un alleato vincente. La Marvel, per esempio, è una casa editrice per fumetti che dopo anni di profonda crisi vive un periodo di grande rinascitagrazie a produzioni cinematografiche di successo come l’Uomo Ragno, I Fantastici 4, Wolverine e X-Men, solo per citare i casi più noti.
La Marvel oggi vive sostanzialmente di diritti. Purtroppo, in Italia la trasposizione dei fumetti al cinema ha avuto risultati disastrosi: penso a Tex, a Diabolik, esperienze a cui è mancato il respiro internazionale.
In Europa, gli unici che hanno ottenuto risultati di un certo valore sono i francesi e non è un caso che Corto Maltese e Martin Mystère siano stati realizzati in Francia, un Paese in cui esiste un sistema di finanziamenti nel settore culturale molto efficace.
In Italia, invece, e lo dico per esperienza personale, i produttori spesso ti chiedono per quale motivo dovrebbero finanziare il tuo progetto e non il cinepanettone di turno, molto più sicuro e redditizio.
“Natale a Miami” batte fumetto 4 a 0? Un po’ triste da accettare…
In Italia è come se tutti avessimo paura di morire di fame e scegliessimo solo quello che ci permette di guadagnare a distanza di poco tempo. E pensare che il fumetto commerciale italiano è sempre stato di altissimo livello, forse tra i migliori nel mondo…Note positive all’orizzonte?
Di recente quello che smuove le acque sono le autoproduzioni: ci sono molti progetti di fumetti che nascono sul web e che attraverso il passaparola di una community che cresce di giorno in giorno (alcuni progetti coinvolgono fino a 5mila, 6mila lettori) si fanno strada e magari finiscono per attirare l’editore di turno che decide di acquistarli e stamparli.
Una bella vittoria, no?
Direi una vittoria personale del disegnatore, ma non del mondo dei fumetti. Sono risultati che alla lunga finiscono per ridurre il settore del fumetto in tante isole, un arcipelago di piccoli successi che non modifica la situazione generale. Non assistiamo all’affermarsi di una vera industria né a un settore che crea occupazione, ma a qualcosa che somiglia molto a un lavoro artigianale.
Dobbiamo rinunciare al fumetto?
Sarebbe una perdita enorme. Anche se in questo momento non è facile tracciare una via da seguire.
Contatti con il mondo della pubblica amministrazione?
Come Scuola internazionale di Comics abbiamo presentato varie proposte anche in questa direzione, ma con risultati altalenanti. Con il Comune di Arezzo, per esempio, avevamo avviato dei contatti per un progetto che celebrasse Giorgio Vasari in occasione dei 500 anni dalla nascita. L’idea era di raccontare la vita del Vasari con una serie di albi a fumetti: un’operazione di divulgazione culturale assolutamente non costosa. Purtroppo il progetto non si è concretizzato.
Con il Comune di Firenze, la Fondazione Sistema Toscanaed Emergency, invece, portiamo avanti da dieci anni il concorso “Matite per la pace”. Un’iniziativa per giovani disegnatori (dai 14 ai 35 anni), dedicato al tema della pace e articolato in tre sezioni: fumetto, illustrazione e advanced (riservato agli ex studenti della Scuola).
E’ un’iniziativa a cui teniamo molto perché consideriamo i concorsi un’opportunità e un ottimo trampolino di lancio per giovani talenti. La scadenza del concorso è il 1° ottobre, e l’invito per tutti è di collegarsi al nostro sito per conoscere i dettagli del bando.
Altri progetti che hanno preso forma e di cui siete particolarmente orgogliosi?
E’ un progetto che si chiama MAX e che realizziamo da sei anni per Lucca Games: si tratta di un volume a fumetti destinato ai bambini ricoverati all’ospedale pediatrico di Lucca e i cui disegni originali sono venduti proprio per finanziare l’ospedale. Si tratta di un prodotto semplice, ma molto curato, in cui si parla di temi che riguardano l’adolescenza: il bullismo, l’obesità ecc… Ecco, se qualcuno si chiede come si può parlare ai bambini dei problemi dell’infanzia, la risposta è: con i fumetti!
Mi sembrano tutte belle idee, qualche progetto nel cassetto da condividere in anteprima?
L’anno prossimo è il centenario della Prima guerra mondiale. Un’idea potrebbe essere quella che ogni Regione, o città italiana, realizzasse un albo a fumetti in cui celebrare le tante storie che hanno avuto per protagonisti i soldati coinvolti in prima persona nel conflitto, ma non solo. Sono certo che si tratterebbe di un’operazione dal grande valore culturale.
Il Festival dei Fumetti di Bruxelles, che si è svolto poche settimane fa, ha inserito tra gli eventi clou in programma la mostra sulla Grande Guerra del disegnatore francese Jacques Tardì. La mostra è visitabile sino a 23 novembre: forse sarebbe il caso di farla visitare a qualche amministratore pubblico italiano, magari anche a un ministro…Non sarebbe una cattiva idea. Sono convinto che il mondo del disegno, come quello della musica, abbia un forte impatto emotivo sulle persone e quindi un alto tasso di coinvolgimento.
A volte penso che un reality dedicato ai fumetti sarebbe un grande successo. Immagino un format che sia in grado di trasmettere tutta la passione e l’emozione che respiriamo ogni giorno noi a scuola. Sono sicuro che da lì potrebbe partire la nostra rinascita.
Un Rinascimento del fumetto sulle note di Fame?
Perché no? L’idea mi piace moltissimo!
E voi che ne dite? Ci proviamo? Per il momento l’invito è raggiungere gli amici della Scuola Internazionale di Comics a Firenze, al complesso delle Murate dal 9 all’11 ottobre per la Comics Street Jam. Tre giorni di incontri, mostre e workshop all’insegna della creatività con alcuni tra i migliori street artist della scena fiorentina, un team di giovani writers e special guest Mr. Wany. Info e prenotazioni: firenze@scuolacomics.it