Tra i piaceri della lettura ce n’è uno che rimane spesso imbrigliato tra le pagine dei libri che leggiamo, quello della condivisione. Quante volte le parole che ci scorrono sotto gli occhi diventano fiumi che vorremmo navigare insieme a dei compagni di viaggio.
Esperienza non sempre a portata di mano per varie (ragionevoli) ragioni, ma anche per un’idea che vuole la lettura simile a un viaggio all’interno di un silenzioso scompartimento ferroviario (Peter Noll ne auspicava uno “per taciturni o per lettori”).
Nessun dubbio sulla difficile conciliabilità tra rumore e lettura, ma se a ‘fare rumore’ fossero i libri? Se, a un tratto, qualcuno accanto a noi iniziasse a guardarci negli occhi e ‘dire’ le parole di un libro? E se dopo di lui ne arrivasse un altro e poi un altro, tutti disposti a regalarci qualche istante di ‘letterario rumore’?
Una piccola rivoluzione che, vi assicuro, potrebbe stupirvi ed emozionarvi (molto) più del previsto.
Chi sono i rivoluzionari in questione? Un gruppo di lettori e lettrici che, imparato a memoria un brano, lo presentano a voce alta ovunque ci sia qualcuno disposto ad ascoltarli. Sono le “persone libro”. Un’idea nata in Spagna e da qualche anno diventata realtà anche in Italia.
Per saperne di più abbiamo incontrato Sandra Giuliani, presidente e fondatrice dell’associazione “Donne di carta”, nonché voce instancabile e cuore pulsante del progetto italiano “persone libro”.
Partiamo da “Donne di carta”: di cosa si tratta?
“Donne di carta” è il nome dell’associazione scelto dalle quattro donne che l’hanno fondata per rivendicare la maternità dell’idea. “Donne di carta” è un movimento culturale, nato nel 2008, che promuove la lettura in tutte le sue forme, supporti, mondi. Ma soprattutto un’idea estesa di lettura che non si limita all’oggetto libro.
Vuoi spiegarci meglio?
Per noi lettura è ogni atto d’interpretazione e comprensione del mondo. Si può leggere il muso di un cane, le stelle, una scritta sul muro, si può leggere persino con le mani. Dal 2009 “Donne di carta” è la portavoce italiana del Proyecto Fahrenheit 451 las personas libro ideato da Antonio Rodriguez Menendez. Un gruppo di lettori e lettrici che, dopo aver imparato a memoria brani di testi che amano, vanno in giro a presentarli a voce alta a chi ha tempo e desiderio di ascoltarli. L’obiettivo è promuovere un’idea della lettura come opportunità di relazione.
Arte dell’ascolto e della narrazione s’intrecciano negli interventi delle “persone libro” e suscitano sempre grande emozione nel pubblico: quali sono gli elementi chiave del progetto?
Il recupero di qualcosa che abita tutti noi: la voce sepolta di un’infanzia esposta alle narrazioni, ai racconti, all’oralità. Quando le persone libro si accostano a un testo per impararlo a memoria, lo fanno con la sorpresa e l’umiltà di chi riscopre la bellezza delle parole: nessuna è uguale a un’altra, ognuna ha un peso specifico, e questo produce lentezza nel leggere e rispetto nel dire. La bellezza passa da qui.
Dire ad altri guardandoli negli occhi, senza il filtro di un libro: ecco, la magia. La memoria è un gesto affettivo e l’oralità un cerchio magico che lascia fuori il mondo e il suo rumore.
Ci racconti quante sono le persone libro oggi in Italia e chi sono?
In Italia le persone libro sono circa 100, sparse su tutto il territorio nazionale: dal Veneto alla Puglia, dalle Marche alla Campania, da Roma che è la casa madre alla Toscana, con tante città coinvolte.
Le persone libro sono ovviamente lettori e lettrici forti, la maggioranza è over 40, ma abbiamo grande seguito anche tra i giovani in età scolare. Infatti, molti gruppi territoriali o “cellule” (come amiamo definirli nell’accezione bio e non certamente bellica del termine) lavorano nelle scuole o insieme ad esse.
Abbiamo una dominanza femminile perché le donne leggono di più, hanno più abitudine alla cura (e questo progetto richiede molta cura) e sentono la relazione come un desiderio più degli uomini. Spesso hanno anche più coraggio nel mettersi in gioco. E poi ci sono anche dei casi particolari, per esempio abbiamo un’intera famiglia di persone libro: madre, padre e due figlie.
Come organizzate il vostro lavoro?
Il lavoro per ognuna delle cellule è “fare la coperta”: ossia darsi un appuntamento periodico durante il quale il gruppo aiuta a migliorare la comunicazione dei testi, offrendo a ogni singola persona libro l’opportunità di un ascolto costruttivo e non passivo. La chiamiamo “coperta” perché fingiamo di stare sotto una coperta immaginaria (il “facciamo finta che…” dell’infanzia) dove è più semplice, stando in cerchio, guardarsi e percepire la prossimità come un’intimità.
Essere una persona libro ha cambiato qualcosa nella tua vita?
Mi ha sottratto tantissimo tempo perché vado molto in giro a promuovere il progetto, ma mi ha anche regalato un tempo che non sapevo di avere: quello con me stessa quando scelgo le parole da imparare e lascio che mi accompagnino in tutte le cose che faccio.
Io sono stata esposta all’oralità fin da subito. E grazie all’esperienza come persona libro ho ritrovato nella mia voce quella di mia madre che da bambina mi raccontava il mondo.
Due motivi per diventare una persona libro?
Perché la lentezza a cui ti costringe l’apprendimento a memoria e il bisogno di fedeltà nei confronti di “quelle” parole ti rivelano il lavoro che c’è dietro alla costruzione di un testo e fanno crescere in te un’attenzione e una sensibilità che prima erano… deboli.
E poi c’è il lavoro sulla voce: le persone libro non declamano, non recitano, ma imparano a dire i testi come se fossero parole proprie, con la voce più naturale possibile. Un’esperienza che aiuta a trovare la voce che abbiamo dentro – non quella sociale delle distanze, ma quella personale delle intimità – e che emerge quando desideriamo un contatto.
Abitare la propria voce è sicuramente uno degli aspetti di questo progetto che vorrei condividere con più persone possibile.
In questi anni di ‘vagabondaggio’ letterario per tutta l’Italia, che Paese hai incontrato?
Un bel Paese, davvero, che nessuno racconta. Ho trovato biblioteche grandi, funzionanti e accoglienti in centri abitati piccolissimi; ho trovato lettori e lettrici di tante età che non vedevano l’ora di condividere una passione e tanti compagni di viaggio.
Ho scoperto che la relazione è un valore socioculturale che ci manca e che un progetto che chiede alle persone di abitare le parole, di incontrare gli altri uscendo dalle proprie case e allontanandosi dai display di qualunque dimensione è, senza saperlo, una rivoluzione.
Hai un ricordo particolare legato alla tua esperienza di persona libro?
Tutte le volte che, per strada, nei mercati, nelle piazze, nei negozi e persino nelle carceri e negli ospedali, la persona che ascolta m’interrompe e risponde alle parole come se non fossero quelle di un libro, ma le mie.
E tutte le volte che chiedendo alle persone di contraccambiare il dono, scopri che sono molte quelle che conservano dentro di sé parole a memoria. Il non dimenticare è un atto affettivo enorme, ed è commovente il coraggio degli altri di esporsi e di condividere.
Ogni vostro intervento inizia con la frase “Io sono…”, lo considerate un’assunzione di responsabilità. Un’assunzione di responsabilità che forse è mancata nella politica italiana in materia di promozione della lettura: a che punto siamo oggi?
Hai centrato la forza di quella frase inaugurale: è il segno che separa il rumore del mondo dal momento in cui io, persona libro, diventerò le parole che tu ascolterai. L’assunzione di responsabilità è reciproca: ascoltare e dire sono l’espressione del nostro comune impegno a vivere uno scambio.
Una tua riflessione sulla Carta dei diritti della lettura, che nel 2011 ha ricevuto la medaglia di rappresentanza del presidente Napolitano.
La Carta dei diritti della lettura, che abbiamo ideato e scritto in modo collettivo come soci di “Donne di carta” – con madrine d’eccezione le scrittrici Michela Murgia e Lidia Castellani, e il prezioso contributo del prof. Massimo Squillacciotti dell’Università di Siena – stabilisce la lettura come un diritto per tutti, in ogni momento della vita.
Strumento di crescita personale e collettiva, la lettura è considerata necessario ambiente di allenamento emotivo, cognitivo, relazionale; e anche contributo al progresso materiale e immateriale dell’intera società. Pertanto pretende doveri istituzionali e impegni da parte di tutto il sistema industriale culturale.
Ci indichi alcuni dei valori centrali della Carta dei diritti della lettura?
La bibliodiversità è sicuramente un valore da tutelare. Così come la lingua d’origine e la qualità delle traduzioni, in quanto forma di rispetto verso la storia che ogni lingua esprime.
Poi la necessità di avere biblioteche diverse, “case della lettura” dove accanto ai libri entrino la musica, la scienza, il saper fare. E un’editoria che non tratti i libri come merci da consumare, da mandare al macero, ma come beni culturali sempreverdi, da rileggere, da riusare.
La lettura deve essere un atto d’interpretazione e comprensione del Mondo, dell’Altro, di Noi stessi: è questo il messaggio della Carta. Un Manifesto di resistenza che porteremo in Europa attraverso il sostegno di chi non ha paura di assumersi responsabilità (per scaricare il testo completo della Carta dei diritti della lettura ecco il link).
L’ultima domanda: ai lettori del blog Care About Culture quale “Io sono…” dedicheresti?
Questo breve brano, che spero vogliate ascoltare, a cui siamo intimamente legate: “Noi siamo… Cani selvaggi di Helen Humphreys”.
Grazie Sandra!
E grazie anche alle rivoluzionarie persone libro, senza di voi le nostre vite risuonerebbero di troppe voci stonate.