Pochi giorni fa, al Cairo, un’autobomba è esplosa davanti al quartiere generale della polizia, non lontano dal palazzo presidenziale, investendo violentemente il vicino Museo di arte islamica, vittima ‘inconsapevole’ del crescente e sempre più preoccupante scontro politico che sta sconvolgendo l’Egitto.
Il Museo di arte islamica del Cairo, uno tra i più ricchi al mondo per i tesori legati alla religione di Maometto che custodisce da anni, è stato costruito nel 1881 e ristrutturato pochi anni fa grazie a un importante investimento economico.
Le conseguenze dell’attentato sono state molto gravi: l’ingresso del museo è andato in frantumi, i tetti di alcune sale sono crollati, distrutti tanti preziosi monili e ridotte in pezzi decine di calligrafie, riconosciute come patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
Un episodio che mi ha fatto riflettere sulla fragilità (e pericolosità) che la vicinanza tra luoghi della cultura e luoghi del potere può nascondere. Una posizione di forza che, all’improvviso, diventa una breccia aperta sull’orrore più grande del mondo, la guerra, con il suo inevitabile dilagare nella vita di tutti noi.
Personalmente spero che quello che è successo al Cairo non diventi la metafora di una convivenza difficile e insidiosa tra mondo della cultura e della politica, non possiamo permettercelo. Anzi, dovremo impegnarci di più in questa direzione e un aiuto (del tutto inaspettato) potrebbe arrivare nientedimeno che da mister George Clooney.
Il 13 febbraio, infatti, arriva nelle sale italiane (preceduto dal lancio il 7 febbraio negli USA) Monuments men, l’ultima fatica cinematografica di George in veste di regista e attore.
La pellicola, ispirata all’omonimo libro di Robert Edsel, racconta la vera storia di un gruppo di curatori di musei e storici dell’arte che, in incognito, vennero incaricati dal governo americano di trovare, catalogare e quando possibile restituire ai legittimi proprietari l’immenso patrimonio di opere d’arte trafugate dai nazisti.
Non che avessimo bisogno di Hollywood per ricordarci che
distruggendo la cultura si annienta la memoria collettiva di un popolo”
ma se lo dice George il passaparola potrebbe essere più efficace.
Che dite?