A volte una nuvola all’orizzonte può suscitare speranza, soprattutto se la nuvola in questione è di colore verde.
Niente a che vedere con pericolose radiazioni, ma con un progetto che ha il futuro nel dna. Si chiama Nuvolaverde ed è un comitato promosso da ministero dell’Ambiente, Piccola Industria – Confindustria ed Expo 2015, nato con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile in Italia attraverso l’economia digitale.
In programma una serie di iniziative che vanno dall’offerta di corsi e-educational, a cura dell’Academy dell’innovazione urbana; alla creazione di un social network ad hoc (Nuvolaverde. Città del nuovo mondo); alla realizzazione di un magazine in streaming video destinato agli studenti degli istituti superiori (Vitadigitale: il cambiamento entra in classe).
Per conoscere meglio il progetto Nuvolaverde e indagare le connessioni tra le città sostenibili del futuro e la futura (si spera) sostenibilità della cultura, abbiamo incontrato Enzo Argante, fondatore e presidente del comitato.
Iniziamo guardandoci attorno: l’Italia vista da Nuvolaverde che Paese è?
Pretenzioso. Come al solito non ci curiamo degli altri (anche a causa della disinformazione sui temi del mercato e del lavoro internazionale) e poi, proprio quando non ne possiamo fare a meno, cavalchiamo la tigre (altro che giaguaro!) a parole e ci mettiamo a posto con la coscienza. Mentre negli altri paesi anche molto vicini a noi si va a scuola di smart ciy da un decennio, dalle nostre parti si fischietta indifferenti. Solo quando siamo costretti a prendere atto che qualcosa sta accadendo, ci mettiamo un bel timbro, due convegni, quattro forum, per poi tornare tranquillamente a spedire i nostri fax.
Visione abbastanza ‘apocalittica’, c’è qualche spiraglio di positività?
Il nostro è un Paese che non ne vuole sapere di tirarsi su le maniche della camicia (manifesti elettorali a parte), ma siamo ancora imbattibili sul piano della creatività e della capacità d’innovazione e numeri uno assoluti sui temi della sostenibilità. L’attuale ministro Clini da molti anni è tra i referenti del governo cinese sulle politiche per la protezione dell’ambiente e il nostro ministero è considerato un modello mondiale di sostenibilità. Abbiamo competenze e visione. Se smettiamo di guardare la tv ricominciamo a lavorare seriamente…
La promozione della cultura del digitale, obiettivo prioritario di Nuvolaverde, come può innescare uno sviluppo sostenibile e soprattutto accelerare l’innovazione urbana nelle nostre città?
Con l’uso appropriato e a ciclo completo del digitale e della rete, cioè senza soluzioni di continuità (è arrivato il momento di dire basta a raccomandate e fax per spedire un documento), può cambiare tutta la società. La tecnologia pone nuovi impensabili traguardi all’innovazione sociale: nella sanità, nei servizi, nel lavoro, nella formazione, nelle relazioni e anche nella cultura. A parte la frutta, la verdura e il caffé al bar, praticamente in tutto!
Purtroppo, chi è legato al sistema di potere analogico pensa ancora che la tecnologia sia una cosa per smanettoni, mentre sono proprio i soggetti più deboli ad avere le opportunità più importanti. Gli anziani, per esempio: a Londra è stato avviato un progetto di telesanità che ha coinvolto due milioni di abitanti, nella maggioranza dei casi over 65; poi c’è il capitolo relativo al telelavoro. Un’azienda leader come la Cisco, nel 2011, ha risparmiato 300 milioni di dollari in spese di trasferta: i manager hanno effettuato 140.000 viaggi in meno ricorrendo alla videoconferenza.
Un’inizativa che permette di ridurre gli spostamenti fisici e quindi consumare e inquinare di meno. In quest’ottica, l’innovazione modifica positivamente i comportamenti e la relazione con il territorio, a favore della qualità di vita.
Perché partire proprio dalle città? E soprattutto quali caratteristiche avranno le città del nuovo mondo e che spazio offriranno alle esperienze culturali ‘tradizionali’ (dall’arte alla musica, dal teatro alle biblioteche ecc…)?
Nuvolaverde intende la città nel senso più ampio, cosiddetta diffusa. Sappiamo che il 70% della popolazione da qui a pochi anni vivrà nei territori urbanizzati ed è a questo livello che bisogna vincere la sfida della sostenibilità.
Il primo problema è che le nostre città sono intasate dalle automobili; quelli che dovevano essere spazi di modernità, sono diventati luoghi profondamente brutti. Le città sono state costrette ad adattarsi all’uso dell’automobile, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Recuperare la città agli uomini e alle donne è diventata una priorità, ed è in questa direzione che si collocano fenomeni sempre più diffusi (anche in Italia) come le ztl e gli ecopass.
Ma tutto questo non vuol dire chiudersi nell’isolamento della propria casa, anzi!
In una città a dimensione di uomo, andare a teatro o al cinema la sera diventa un’esperienza molto gradevole. A Manhattan ci sono piazze in cui il recupero del rapporto con la cultura è ben visibile. Noi non vogliamo creare la città dei robot, ma quella in cui i consumi energetici sono razionalizzati e dove il tempo per la fruizione culturale è riportato al centro della vita di ciascuno.
Cultura e smart city: prove di convivenza?
E’ bene specificare che non intendiamo trasferire completamente lo stile di vita al digitale, ma integrare quotidianità e digitale.
Le smart city sono innanzitutto un investimento tecnologico, ma siamo convinti possano contribuire ad affermare nuovi stili di vita. Un processo nell’ambito del quale un ruolo importante è svolto proprio dalle cosiddette centrali culturali. Da quei luoghi, cioè, che esprimono cultura di base e che in Italia sono rappresentati da: scuola, università, chiesa, e mondo dei media.
Quattro realtà che attualmente non attraversano un momento critico. La scuola ha programmi vecchi di 40 anni, i media rincorrono l’audience e non gli indici di lettura; l’università non sempre esprime eccellenza e la chiesa stenta a seguire i cambiamenti. Alla rivista Famiglia Cristiana abbiamo proposto un progetto per dotare i campanili di wi- fi gratuito, un modo per riavvicinare i giovani agli oratori come un tempo il calcio o il cinema. Ci stanno ragionando seriamente.
In una situazione così compromessa, diventa prioritario agire e puntare proprio sulle centrali culturali. Ed è in questa ottica che abbiamo creato il social network Nuvolaverde. Città del nuovo mondo. Siamo ancora alle fasi iniziali, ma puntiamo a rendere virali i nostri contenuti.
L’attuale crisi del sistema cultura in Italia, a suo avviso, può dipendere da un mancato dialogo con discipline come economia e tecnologia?
I paesi che in assoluto stanno affrontando a testa alta la crisi o addirittura la prevaricano, sono quelli che hanno un predominio tecnologico. Basti pensare che il più potente di tutti in questo momento è quella Corea del Sud che in molti collocano nel 2050, dal punto di vista della produzione e della fruizione delle tecnologie digitali. Un piccolo Paese asiatico che batte i pugni sul tavolo della compezione globale con una Samsung che fa tremare le vene ai polsi di Apple. Seul è la capitale mondiale del digitale e posso testimoniare personalmente che già tre anni fa capitava di vedere chi faceva la spesa inquadrando con il prorio telefonino il QR Code dei prodotti sulle vetrine dei supermercati.
La cacacità di gestione digitale della conoscenza, inoltre, sta spingendo in avanti paesi praticamernte sconosciuti e con un sistema economico fino a pochi anni fa assolutamente di seconco piano. A cominciare dall’Estonia, la capitale mondiale del wi fi. L’intero Paese ha una connessione internet wireless, quasi ovunque gratuita..
L’Italia invece è una nazione pigra, adagiata su un sistema di potere datato. E pensare che il computer a bordo dell’Apollo 11 era un Olivetti. Eravamo un Paese fra i più avanzati al mondo in quegli anni, ma sembra passato più di un secolo… Sul nostro ‘declino’ c’è persino chi vede una regia internazionale occulta, impegnata a sedare le velleità di leaderdhip di una Italietta diventata troppo competitiva. Una storia che, in qualche maniera, si è ripetuta pochi anni fa con Fastweb, prima azienda a gestione pubblico/privato in grado di gestire fibra ottica e trasmissione dati (voce, video). Mi verrebbe quasi da dire che l’Italia sia destinata a scontare un peccato originale: la propria sensibilità innovativa.
Il progetto “Vitadigitale: il cambiamento entra in classe” è un’importante sfida per offrire agli studenti italiani un’educazione moderna ed efficace, permettendo ai ragazzi di entrare in contatto con testimoni autorevoli della rivoluzione digitale. Come avete condotto il rapporto con le scuole e quali saranno le prossime tappe del progetto?
Il rapporto con le scuole è straordinariamente intenso. In questo momento nel progetto è coinvolto un ristretto numero di realtà scolastiche – Istituto Amedeo d’Aosta di L’Aquila, Istituto Mapelli di Monza, Istituto Floriani di Vimercate, Istituto Antonino Calabretta di Soverato (Cz), Istituto Campanella di Belvedere Marittimo (Cs) e il polo scolastico di Gemona (Ud) -, ma vogliamo mettere a punto il meccanismo e poi lentamente allargarci. I professori e i presidi con cui stiamo collaborando sono persone veramente straordinarie; nella maggioranza dei casi vivono una realtà strutturale inadeguata sotto molti punti di vista, ma non rinunciano a portare avanti il loro impegno in favore dell’innovazione nella scuola.
Per i ragazzi italiani degli istituti superiori, alla soglie se non già dentro il mondo del lavoro e dell’impresa, l’assenza di cultura digitale nel loro percorso formativo è una vera iattura. Il governo estone, all’inizio del 2012, ha avviato un progetto che coinvolge studenti dai 7 ai 12 anni e che prevede tra le materie d’insegnamento il linguaggio di programmazione. L’obiettivo è far acquisire alle giovani generazioni competenze che mettano insieme sfera emotiva e strumenti multimedilai (un semplice “ciao” può persino diventare un sito). Forse è arrivato il momento di capire che costruire ponti e strutture fisiche non è l’unico modo per creare una società che guarda al futuro.
Ci può anticipare qualcosa sull’appuntamento “Primavera culturale” (Torino, 18-19 aprile)?
A Torino, nell’ambito dell’evento DNA Italia. Incontrare la filiera della cultura, organizzeremo una due giorni di incontri con i protagonisti dell’innovazione nel campo della fruizione dei beni culturali e ambientali. Gli esperti lavoreranno in tre sessioni parallele e al termine produrranno una proposta pubblica che raccoglierà le priorità in materia di cultura digitale, di sostegno alle imprese che operano nei beni culturali, di promozione mondiale del cultural heritage. Un progetto su cui puntiamo molto.
Come presidente e fondatore di Nuvolaverde quali sono gli elementi chiave del suo modello di rete?
Noi italiani siamo fra i più attiviti utenti di Facebook al mondo. I secondi dopo gli americani. Abbiamo tempo e voglia di comunicare fra di noi, condividere le esperienze e il più delle volte miriamo a costruire relazioni con persone che hanno la nostra sensibilità, i nostri interessi, bisogni e visioni.Vogliamo riconoscerci parte di una comunità, di una rete in cui protagonisti siano “account caldi”, sensibili cioè al contatto umano. Credo che dopo la sbornia del tutto subito e con chiunque, recuperare il valore della conoscenza condivisa ‘mirata’ sia un atto dovuto verso noi stessi e verso i nostri figli.
Come si può partecipare al progetto Nuvolaverde?
Puntiamo tutto sul social network. Basta registrarsi su www.nuvolaverde.org ed entrare a far parte della comunità. Oltre a interagire con gli altri utenti, è possibile fruire delle nostre proposte divulgative come: consultare i numeri di “Vitadigitale”; seguire le lezioni online di Academy dell’innovazione urbana, aggiornarsi sulle iniziative sociali e culturali legati ai nostri temi; ricorrere ai social meeting per organizzare le proprire conferenze online.
La comunità di Nuvolaverde ti mette nelle condizione di dire la tua in qualsiasi modo, in ogni momento e a chiunque. Né più né meno di Facebook, anche tecnicamente. Cambiano solo i contenuti…
Che una nuvola verde all’orizzonte faccia Primavera… culturale digitale?