Pochi giorni fa il tg Rai (quello della rete ammiraglia, per la precisione) ha ospitato, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, due servizi che hanno attirato la mia attenzione.
Nel primo, Antonio Caprarica (l’inviato più british che la televisione italiana ricordi) descriveva l’incredibile successo del castello di Highclere Castle nel Berkshire, diventato una delle mete turistiche più ambite del Regno Unito. Nell’arco di poco più di due anni, il numero dei visitatori del maniero neogotico di 300 stanze è triplicato, e così gli incassi, destinati al conte e la contessa Carnarvor, i legittimi proprietari da tempo afflitti dal ‘prosaico’ problema delle spese di manutenzione, circa 11 milioni di sterline.
Il motivo di tale popolarità? Highclere Castle ospita sin dal primo ciak le risprese di Downton Abbey, la serie televisiva in costume diventata il prodotto di maggior successo nella storia della televisione britannica, con protagonisti i membri dell’aristocratica famiglia Crawley e un nutrito gruppo di domestici, alle prese con intrighi di ogni genere e amori più o meno contrastati.
Ideata da Lord Julian Fellowes (un passato da attore e scrittore molto snob), Downton Abbey ha ottenuto 9 Emmy Awards, totalizzato circa 30 nomination, ed è stata venduta in oltre 100 paesi: “Guardare Downton Abbey è come assistere a una lezione di storia, la meglio raccontata di sempre” ha affermato Chuck Barney dell’americana “Mercury News”. Il ‘nostro’ Caprarica non è dello stesso avviso (della serie: non basta essere snob per fare telefilm credibili), ma al momento vorrei soffermarvi sulle buone capacità divulgative della “cattiva maestra televisione”.
Notizia numero 2. La scorsa settimana, il Teatro della Pergola di Firenze e il Teatro Carignano di Torino sono stati letteralmente presi d’assalto (con tanto di caccia all’ultimo biglietto) per lo spettacolo Red Bull Flying Bach. 70 minuti di virtuosimo “al quadrato”: le eleganti note de Il clavicembalo ben temperato di J.S. Bach, eseguite dal vivo da pianoforte e clavicembalo, intrecciate alle poetiche acrobazie dei berlinesi Flying Steps, quattro volte campioni del mondo di breakdance.
Un progetto decisamente originale che, come è facile intuire, ha potuto contare sul (grande) sostegno di un (grande) marchio, abituato a riflettori bel diversi da quelli di un teatro. Dopo anni di sponsorizzazioni sportive, Red Bull si è concessa una divagazione di tipo ‘culturale’ e sembra che molti in azienda, oltre ai vertici, abbiano gradito l’iniziativa. Musica colta e breakdance unite dal rombo dei motori di Formila Uno? Questione di accordi…
Certo lo slogan “Red Bull ti mette le ali” non poteva trovare testimonial più adatti dei Flying Steps e un ‘regista’ più autorevole del Maestro Johann Sebastian Bach. Vartan Bassil, coreografo e fondatore dei Flying Steps, confessa che “Per noi, il Red Bull Flying Bach World Tour è un sogno divenuto realtà”, e il direttore d’orchestra Christoph Hagel aggiunge: “Le movenze di una crew di breakdance sono tanto cool quanto le fughe di Bach. Dalla Croazia al Giappone se ne accorgeranno tutti”.
Lo so che non dovremmo più stupirci di queste commistioni tra arte, cultura, comunicazione e impresa (ma qualcuno, sono certa, avrà da ridire…), lo so che bisognerebbe approfondire, verificare, misurare…. ma oggi lasciatemi dire che contaminare è bello, che creatività fa sempre rima con opprotunità e che spesso un ‘viaggio culturale’ con destinazione incerta può trasformarsi in un grande successo.