Armando Massarenti non ha certo bisogno di presentazioni. Dal 1986 il suo nome è tra le firme di punta del Domenicale del Sole 24 Ore, di cui è responsabile da giugno 2011, e nelle ultime settimane è tra i portavoce più accreditati del Manifesto per la cultura.
Subito dopo il Summit di Milano ho pensato che la sua testimonianza sarebbe stata un tassello importante per decifrare la mobilitazione culturale made in Italy partita il 19 febbraio con la pubblicazione di “Niente cultura, niente sviluppo” e vorrei ringraziarlo per la disponibilità che ha dimostrato (non così scontata da un giornalista della stampa big size nei confronti di noi formiche del web!).
La mini-intervista nasce dall’idea che pubblico e privato, nell’affannoso (e spesso maldestro) rincorrersi a vicenda in materia di progettazione e sviluppo culturale, abbiano bisogno di un media(tore): un soggetto per sua natura abituato a lavorare con le parole e la comunicazione.
Ed ecco le tre domande:
Cosa ha innescato la miccia dell’attuale mobilitazione per la cultura italiana?
Far partire l’iniziativa da un organo di comunicazione credibile è stato sicuramente determinante. Il più delle volte quando ci si trova immersi nella dinamica di un sistema, non vediamo chiaramente l’ingranaggio che governa il tutto e tendiamo a farci trascinare dal flusso delle cose. Il primo successo del Manifesto è stato quello di aver creato uno spirito cooperativo tra numerose realtà che non si conoscevano tra loro. Parole come mobilitazione, consapevolezza, urgenza, che abbiamo scelto per descrivere una situazione di estrema difficoltà che la classe politica italiana sembrava non percepire, sono state condivise da tantissime persone.
Il nostro obiettivo era riportare al centro dell’agenda politica la CULTURA, anche se personalmente ritengo che questa parola risenta di una certa retorica e preferiscoISTRUZIONE. Un termine che restituisce alla scuola il ruolo fondamentale che le compete all’interno della società. E’ necessario arrivare a una riforma che riporti i giovani italiani ai livelli culturali dei paesi più industrializzati. Solo poche settimane fa il governatore Visco ci ha ricordato che in Italia gli “analfabeti funzionali” (persone che hanno forti deficienze nella semplice comprensione di un testo) sono l’80%. Un’emergenza che investe tutto il mondo culturale italiano.
In questo momento in redazione vi sentite più “gabibaldini” o “angeli del fango”?
La squadra del Domenicale è decisamente piccola, quasi microscopica. L’inserto è nato nel 1983 e sin dall’inizio ha puntato a una cultura alta, la cultura praticata a livello universitario. Una scelta antigiornalistica da molti punti di vista. Il nocciolo duro dei nostri contenuti sono sempre state le scoperte filologiche, gli studi storici, la ricerca scientifica… L’idea era di coinvolgere la produzione del sapere in ogni suo aspetto. Pagine come quelle di Scienza e Filosofia ospitano temi di cultura altissima, impensabili altrove e che, da filosofo della scienza quale sono, mi rendono particolarmente orgoglioso. Inoltre, dai dati che ci vengono forniti ogni settimana, le vendite del Domenicale in edicola sono determinanti per la testata nel fine settimana (il totale si aggira tra le 200/300 mila copie). Credo si possa parlare di un’area di resistenza del Paese.
Se ci sentiamo angeli del fango? Forse si…… anche se l’immagine che sento più vicina è quella che abbiamo scelto come icona del Manifesto: la foto della Holland House Library di Londra dopo il bombardamento del 1940 (una foto che sta riscuotendo molto successo, come mi dicono dalla catena di librerie Arion). In questo scatto ritrovo il senso e la capacità di resistere, di guardare avanti e ripartire; la calma necessaria (quella che solo la cultura è in grado di trasmettere) per sperare nel futuro.
L’iniziativa “Niente cultura, niente sviluppo” ha cambiato definitivamente il ruolo del giornalismo culturale in Italia?
Un Manifesto di questa natura è certamente anomalo. Forse è bene sottolineare che nasce in maniera indipendente da quello che c’è intorno. Non ci interessava creare un evento giornalistico, ma presentare un’idea di sviluppo e siamo decisi ad andare avanti su questa strada. Il momento è quello giusto.
Anche altre testate si sono occupate del Manifesto e non c’è alcun timore di concorrenza in questo caso, l’importante è tenere viva l’attenzione sul tema. Quell’80% di analfabetismo di cui parlavo prima dimostra che, pur essendo un paese con un patrimonio culturale inestimabile, siamo un popolo sempre meno colto. E questo è un allarme per tutti. A questo proposito mi piace ricordare una frase pronunciata nel 1972 da Giuliano Toraldo di Francia che così descriveva la situazione culturale italiana: “Siamo un paese in via di sottosviluppo”. Un’analisi lucida e rimasta, purtroppo, inascoltata.
Se siamo stati efficaci con il nostro Manifesto? La risposta che conta deve arrivare dalla politica. Abbiamo bisogno di scelte politiche coraggiose, che puntino a integrare i sistemi produttivi e creare innovazione, l’unica strada per costruire il futuro del Paese.
Grazie Armando. Per concludere, aggiungo solo una piccola nota. E’ di pochi giorni fa la notizia che in Germania, un anonimo benefattore stia elargendo donazioni a varie realtà locali: orfanotrofi, case di riposo, associazioni no profit ecc… E ogni volta il gruzzolo di euro (a 3 o 4 zeri) è accompagnato dal ritaglio di un giornale che racconta proprio di queste realtà…
Quando si dice guidare l’opinione pubblica!